Le opere recenti di Nunzio Lobasso rivelano un artista attento alla pittura del fantastico e del surreale e a quella particolare suggestione (e straniamento) che deriva dalla scomposizione del reale, dalla sua riduzione a forme geometriche, segmenti e mezzelune, ferme o in movimento, e dalla ricomposizione dei frammenti in figure “altre”, in apparizioni di soggetti/oggetti che si muovono e addensano sulla superficie in maniera inconsueta, magica e candida, tragica e giocosa, rivelando e mettendo a nudo ambiguità, allusioni, desideri, tensioni, nostalgie. L’elemento che dà forza a queste sue raffigurazioni, insieme al colore, vibrante per l’uso degli sfregazzi e delle sovrapposizioni, è il segno, marcato, largo, scuro, spesso inciso, scavato nel supporto, quando questo è ligneo, che sottolinea una miriade di invenzioni ove più ove meno ammiccanti al reale ma tutte affioranti dal fondo senza artifici prospettici, in un equilibrio compositivo, sia quando la costruzione è sulla diagonale sia quando è frontale, che è sostanzialmente classico. I segni e il colore vengono così a comporre, tra le altre figurazioni, corpi di donna senza volto e senza braccia dove vengono esaltati gli attributi sessuali, il delta del pube e il seno, con i capezzoli che fungono da occhi, quasi a ricostruire un volto geometrizzato, privo di individualità, che può essere letto secondo la lezione magrittiana de Lo stupro, della donna come puro oggetto di desiderio, o altrimenti, in positivo, come esaltazione dell’archetipo della magna mater, della fonte di vita. Il riferimento alla donna è costante nell’opera di Lobasso: l’uomo malinconico e pensieroso, cappello e barba a punta, col capo reclino, che guarda l’osservatore coi suoi grandi occhi ha in realtà in mente una donna, anch’essa sfumata nel volto, quasi che il dolore per la distanza (realizzata questa con un bell’artificio, giustapponendo sullo stesso piano bidimensionale, alla maniera bizantina, la figura grande a quella piccola) cominci ad attenuarsi, ed una donna è racchiusa nel prisma de Il rispecchio, e donne sinuose e belle sono ritratte coi capelli giullareschi o con i segni della maternità, ed ancora donne, ridotte a pura astrazione segnica sono quelle viste nel dinamismo di un allenamento ginnico. Ed è proprio a partire da questa attenzione al corpo femminile che Lobasso riesce a costruire, in più di una circostanza, segni-simboli (cerchi e triangoli animati da occhi) che diventano una vera e propria cifra stilistica, con la quale compone immagini sempre diverse, che lo rende immediatamente riconoscibile. Come riconoscibile lo rende quella patina lucida che spesso copre i suoi dipinti (Lobasso si è anche cimentato con la ceramica e con l’arte del vasaio) quasi a voler distanziare/proteggere i suoi personaggi e le sue invenzioni figurali dalla crudezza della realtà. Ma è soprattutto la capacità di far interagire la nettezza della linea e la poesia del colore, che attenua e rende gradevole anche le figure più complesse e grottesche, che fa di Nunzio Lobasso un artista che ormai articola un proprio ed originale linguaggio pittorico.